Parrebbe proprio di sì.
Partiamo dalla definizione.
Il “lavoratore svantaggiato” risulta “essere occupato in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25 % la disparità media uomo-donna (11,9%) in tutti i settori economici dello Stato membro interessato se il lavoratore interessato appartiene al genere sottorappresentato” (articolo 2, punto 4, lett. f) del Regolamento UE n. 651/2014).
Bene.
Il Ministero del Lavoro ha individuato settori e professioni, caratterizzati dal predetto tasso di disparità uomo-donna (Decreto interministeriale n. 327/2022).
I risultati non sono certo confortati:
- Industria/costruzioni: tasso di disparità pari all’82%
- Industria estrattiva: tasso di disparità pari all’68,5%
- Industria/acqua e gestione rifiuti: tasso di disparità pari al 64,7%
Tra le professioni, il Decreto individua ne individua ben 21 in cui il tasso di disparità tra uomo-donna è superiore al 25%.
Ai primi posti:
- Ufficiali delle forze armate: tasso di disparità pari al 96,5%
- Conduttori di veicoli, di macchinari mobili e di sollevamento: tasso di disparità pari al 95,7%
- Sergenti, sovraintendenti e marescialli delle forze armate: tasso di disoccupazione pari al 95%
Queste rilevazioni, ci permettono di capire quali lavoratrici sono quindi “svantaggiate”.
Per il 2023 (e limitatamente al settore privato) i datori di lavoro che assumeranno tali lavoratrici “svantaggiate” potranno di conseguenza beneficiare degli incentivi all’assunzione.
Resto in ogni caso un dato che deve farci riflettere.