Il TFR ha natura retributiva e merita tutela anche in caso di mancato versamento.
Lo ricorda di recente la Cassazione che ha ritenuto che il credito vantato dal lavoratore per il TFR dovesse essere ammesso al passivo del fallimento in via privilegiata.
Si tratta infatti di un credito che gode di una speciale tutela secondo le (in allora vigenti) disposizioni di legge in materia fallimentare.
Nel merito, la Corte ha disposto che la società datrice di lavoro, dovesse ammettere il credito del lavoratore per la somma definita per il TFR, con l’aggiunta degli interessi.
La decisione sancisce così la tutela del diritto del lavoratore a vedersi riconosciuto il credito per il TFR, con il conseguente accoglimento di tutte le sue richieste.
La Cassazione ha ribadito che il TFR ha natura retributiva e che il lavoratore è legittimato a insinuarsi al passivo anche in caso di mancati versamenti da parte del datore.
Il caso riguarda un dipendente che aveva chiesto l’ammissione al passivo del fallimento per il TFR maturato dopo il 1° gennaio 2007, da destinarsi al Fondo di Tesoreria INPS (dato che l’azienda aveva più di 50 dipendenti). Tuttavia, la domanda è stata parzialmente respinta poiché il curatore non aveva trasmesso all’INPS il modulo necessario.
Il Tribunale di Reggio Calabria ha ammesso parzialmente il credito per il periodo lavorato con la società fallita ma ha escluso il TFR maturato con la società cedente per mancanza di prova sufficiente, nonostante il CUD. Ha riconosciuto la continuità del rapporto di lavoro, ma per il TFR ante 2007 ha applicato la normativa (in allora) precedente (art. 2 l. 297/1982), escludendo l’insinuazione. Per il periodo post 2007, ha respinto la richiesta per incertezza sul versamento all’INPS.
Il ricorrente ha impugnato il decreto del Tribunale di Reggio Calabria con ricorso in Cassazione, articolato in due motivi. Ha sostenuto che il TFR indicato nel CUD rappresentasse un credito certo e adeguatamente provato. Inoltre, ha contestato il mancato riconoscimento del TFR maturato prima del 2007, ritenendo che, secondo la giurisprudenza di legittimità, anche le somme non versate dovessero essere ammesse al passivo.
Il ricorso in Cassazione si fondava su due motivi:
- la violazione delle norme sulla cessione di ramo d’azienda, per non aver riconosciuto la titolarità del credito TFR al lavoratore;
- ulteriore violazione delle norme sul TFR e sull’onere della prova per aver escluso l’ammissione al passivo a causa della mancata distinzione tra le quote di TFR maturate prima e dopo il 1° gennaio 2007.
La Cassazione ha accolto il ricorso, annullato la decisione del Tribunale e ammesso il credito del lavoratore.
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