allavellilegal
datori di lavoro
Diritto Del Lavoro
Privacy

Controlli difensivi del datore di lavoro: possibili se provato il ‘fondato sospetto’

Leggi l'articolo
V

La legittimità dei controlli diretti all’accertamento di condotte illecite pregiudizievoli per il patrimonio aziendale presuppone la sussistenza di un fondato sospetto in capo al datore di lavoro circa comportamenti irregolari posti in essere da uno o più lavoratori.

Ne consegue che grava sul datore l’onere di allegare, in via preliminare, e successivamente provare, le circostanze concrete che hanno giustificato l’attivazione ex post del controllo tecnologico.

Lo ricorda di recente la Cassazione civile (Sezione Lavoro, 24 aprile 2025, n. 10822) che torna a pronunciarsi in merito a un’ipotesi di licenziamento per giusta causa, insorta tra una nota casa di moda e una dipendente con funzione di responsabile dello showroom commerciale di Milano.

Il provvedimento espulsivo, inizialmente giustificato dall’asserita sottrazione di beni aziendali, è stato ritenuto illegittimo dai giudici di merito, in ragione di irregolarità concernenti i controlli difensivi effettuati e dell’insufficienza del quadro probatorio posto a fondamento della loro attivazione.

La Corte d’Appello di Milano aveva confermato la decisione resa in primo grado dal Tribunale, evidenziando come i controlli effettuati mediante impianti audiovisivi e ispezioni personali risultassero non conformi alle prescrizioni di cui all’art. 4 della legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) e alla normativa in materia di protezione dei dati personali. Ciò in ragione sia dell’irregolarità delle modalità di informazione preventiva nei confronti dei dipendenti, sia dell’assenza di un fondato sospetto idoneo a legittimare l’attivazione dei controlli stessi.

La Corte di cassazione ha ribadito che i controlli difensivi, per essere considerati legittimi, devono rispettare rigorosi presupposti normativi, tra cui la sussistenza di un fondato sospetto in capo al datore di lavoro e l’osservanza delle procedure previste dalla disciplina vigente, in particolare dallo Statuto dei Lavoratori e dalla normativa in materia di privacy.

Ha inoltre sottolineato l’inutilizzabilità, in sede giudiziale, delle prove acquisite in violazione di tali disposizioni, conformemente a un orientamento giurisprudenziale già consolidato.

Con un ricorso articolato in cinque motivi, la società ricorrente – un noto marchio del settore moda – ha impugnato la pronuncia della Corte d’Appello, contestando la valutazione di illegittimità dei controlli e rivendicandone la conformità alla normativa.

Tra le censure sollevate figurava altresì una richiesta di riesame del materiale probatorio; tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rilevando che il giudizio di legittimità non consente una rivalutazione del compendio fattuale, se non in presenza di vizi rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c.

In tema di controlli c.d. difensivi, la Suprema Corte ha confermato un principio già consolidato in sede di legittimità, affermando che la loro ammissibilità, in senso stretto, richiede la presenza di un “fondato sospetto” da parte del datore di lavoro circa la commissione di illeciti da parte di uno o più lavoratori.

Ne discende che grava sul datore l’onere di allegare, in via preliminare, e successivamente dimostrare, le circostanze specifiche che lo hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico in via ex post.

Ciò in quanto solo tale presupposto consente di operare al di fuori dell’ambito di applicazione diretta dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, oltre a rispondere al principio generale secondo cui il datore è tenuto a provare gli elementi fondanti il licenziamento.

La Corte ha altresì rilevato come il giudice di appello abbia ritenuto non adeguatamente assolto tale onere probatorio, osservazione che – trattandosi di una valutazione di merito – risulta sottratta al sindacato di legittimità.

Inoltre, con riferimento all’attività investigativa posta in essere dal datore di lavoro – qualificata dal giudice del reclamo come controllo difensivo in senso stretto – la Suprema Corte ha rilevato, in coerenza con quanto già statuito dal giudice di primo grado, la violazione della normativa posta a tutela della riservatezza e della dignità della lavoratrice, in ragione dell’illegittima perquisizione effettuata su un bene personale, nella specie la borsa della dipendente.

Secondo quanto emerso in giudizio, il datore di lavoro, a seguito della visione delle registrazioni provenienti da impianti di videosorveglianza, si sarebbe introdotto nell’ufficio della lavoratrice durante la sua assenza per la pausa pranzo, allo scopo di reperire elementi idonei a comprovare ipotetici comportamenti illeciti a lei ascrivibili.

Quanto alle riprese audiovisive, legittimamente qualificate da entrambi i giudici di merito come controlli difensivi volti alla tutela del patrimonio aziendale – in quanto riferiti indistintamente all’intero personale – la Corte ha confermato la valutazione del Tribunale, rilevando la mancanza di prova circa la corretta informazione ai dipendenti in merito alle modalità di utilizzo degli strumenti e di effettuazione dei controlli, in violazione di quanto prescritto dalle norme in materia di protezione dei dati personali.

In conclusione, la Suprema Corte ha ribadito che i controlli difensivi devono fondarsi su presupposti fattuali concreti e non su mere congetture e che l’onere della prova in ordine alla legittimità di tali controlli ricade integralmente sul datore di lavoro.

Lo studio rimane a disposizione per ogni eventuale chiarimento.

Richiedi una consulenza