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Straining: il ruolo del contesto lavorativo per la configurabilità

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Il nostro ordinamento stabilisce che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro” (art. 2087 del Codice civile).

Tale obbligo impone una responsabilità fondamentale in capo al datore di lavoro, in quanto quest’ultimo è tenuto ad adottare ogni misura di prevenzione e sicurezza nei confronti dei propri dipendenti.

In correlazione a tale obbligo vi è anche quello di sorvegliare affinché il luogo di lavoro sia sereno e pacifico.

Accade sovente però, che si verifichino situazione di stress forzato, qualificabili come “straining”.

Con tale terminologia si fa riferimento ad una forma di pressione psicologica che, pur non configurando una condotta metodica e reiterata (come nel mobbing), può comunque generare conseguenze lesive.

Lo straining si configura quando il datore di lavoro, o chi per lui, pone in essere atteggiamenti stressogeni e logoranti, tali da nuocere il benessere psichico del lavoratore.

L’elemento costitutivo e rilevante di tale condotta è l’intenzionalità lesiva.

Ipotesi tipiche di “straining” si verificano nei casi di demansionamento, dequalificazione, privazione degli strumenti di lavoro, isolamento, costrizione all’inattività lavorativa ed esclusione dal flusso di informazione.

La Cassazione, con la sentenza 969/2023, ritiene che sia ravvisabile la violazione dell’art. 2087 c.c. non solo quando il datore o suoi sottoposti attuino atteggiamenti direttamente lesivi nei confronti dei lavoratori dipendenti ma anche qualora il datore dovesse accondiscendere, altresì colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute dei lavoratori.

Ciò contribuisce ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute.

Parallelamente allo straining vi è un’altrettanta forma di violenza nell’ambito lavorativo, il cosiddetto mobbing.

Tale condotta rappresenta una configurazione più molesta rispetto a quella precedentemente descritta. Il concetto si fonda sul compimento di condotte concernenti l’umilianza, isolamento, giungendo all’esclusione progressiva dal contesto aziendale. Requisito principale di mobbing è la recidività (l’animus di porre in essere un ‘disegno’ volto alla vessazione della risorsa).

A fronte di tali situazioni, nell’eventualità in cui un lavoratore decida di affrontare la questione dinnanzi al giudice, è bene che sia provvisto quantomeno di:

  • Lettera di contestazione
  • Assegnazione di incarichi non pertinenti
  • Qualsiasi prova di abusi, umiliazioni, atti persecutori

Oggi tali tematiche, soprattutto in ambito lavorativo, risultano essere particolarmente delicate e al contempo diffuse, richiamando l’urgenza di una cultura aziendale orientata al rispetto della persona, alla cura del clima organizzativo e al benessere complessivo di chi lavora.

Lo Studio rimane a disposizione per ogni eventuale chiarimento

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